mercoledì, dicembre 13, 2006

Alba inquietante

Jefferson City si era risvegliata sotto un cielo inquietante. Una cappa scura offuscava la luce del pallido sole di quel freddo mattino di inverno.

Un'enorme nube scura occupava tutto il cielo; aveva iniziato la sua espansione già durante la notte, ma nessuno si era avveduto di quella lenta crescita, si era mimetizzata nel buio delle tenebre.

La nube si spandeva fino all'orizzonte opprimendo con le sue dense spire la vasta pianura solcata dal corso del Missouri.

La gente per le strade guardava il cielo con sospetto e paura. Il traffico scorreva lentamente perché gli autisiti erano distratti dall'osservare quell'insolito fenomeno. Le radio locali non parlavano d'altro. Prendevano strada le ipotesi più fantasiose. Venivano intervistati improbabili esperti. La gente telefonava preoccupata. Le autorità facevano sapere che tutto era normale e che era necessario mantenere la calma. La gente chiamava ancora più allarmata.

Il colore della nube era assolutamente insolito: marrone. La luce che filtrava attraverso di essa prendeva la stessa tonalità e tutta la città aveva assunto quella tinta.

A quell'ora Alessandro dormiva ancora di grosso e nulla sapeva di ciò che stava succedendo fuori. Aveva il sonno pesante. La sera prima aveva stentato ad addormentarsi avendo faticato a digerire, probabilmente aveva esagerato nel mangiare, si era sbafato tre enormi porzioni di fagioli messicani con le cipolle.

Si rigirò nel letto, emise alcuni grugniti e riprese a russare. Stava facendo un sogno strano, sognava di essere una grossa quaglia che cercava di scappare dall'agguato di un gatto, però, per quanti sforzi facesse, non riusciva a spiccare il volo, sbatteva le ali con tutta la forza, ma il troppo peso l'ancorava a terra.

Le automobili viaggiavano con i fari accesi, i lampioni per le strade erano ancora illuminati. Gli operai del primo turno si attardavano nel parcheggio dell'ABB, rimanendo a fissare il cielo, scambiandosi opinioni tra loro. Qualcuno immaginava che fosse una nuvola di polvere del deserto portata dal vento, qualcun'altro temeva trattarsi di una nube radiottiva, uno teorizzava che erano le ceneri di una lontana ed enorme esplosione vulcanica, i più pensavano ad un attentato terroristico. A quell'ora avrebbero dovuto
già essere in fabbrica, ma l'eccezionalità dell'evento li teneva bloccati, incerti sul dafarsi.

Il terrore si scatenò quando, senza preavviso, la nube iniziò a scendere. Una nebbia pesante invase ogni luogo, la visibilità si ridusse a pochi metri. Le auto, le moto, gli autobus, i treni dovettero fermarsi, anche chi andava a piedi non potè proseguire.
La nube aveva una consistenza fisica, si appiccicava addosso come una gelatina, si insinuava nel naso e nella gola con le sue spire fetide. Un odore immondo e nauseante che non lasciava scampo. C'era chi vomitava, chi si premeva un fazzoletto sul volto, chi sveniva.

Fu in quel momento che suonò la sveglia ed Alessandro si alzò. Si stiracchiò per bene, andò in bagno, fece pipì e dopo si lavò la faccia. Con calma si vestì, uscì dalla camera e si avviò verso il salone delle colazioni. Il gonfiore al ventre della sera prima era completamente passato, si sentiva riposato e pronto ad affrontare una nuova giornata di lavoro.

La nube intanto se n'era andata. Svanita nel nulla. Il cielo era tornato sereno ed il lurido fetore era anch'esso sparito.

2 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Roba da non credere!"

3:22 PM  
Anonymous Anonimo said...

Maremma puzzona!

3:24 PM  

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